lunedì 15 ottobre 2012

Sign Up. It's free and always will be.


Credo che bisognerebbe valutare le vite delle persone in base al successo delle loro vite sociali telematiche. Identificare il fallimento in una foto infelice o in un luogo di vacanza non esotico, inquadrare il successo, attribuirgli un valore numerico e poi avvicinarlo a un sostantivo o un’espressione di uso comune: 540 amici, 23 mi piace, 2000 followers, 70 contatti, 200 collegamenti.
Riconsiderare il concetto di felicità. Privatizzarlo. Cosi che, uguale per tutti, non sia più difficile comprendere se si è o non si è felici. Valutare finalmente le vite in maniera oggettiva:
hai una bella fidanzata con la quale hai fatto tante foto in costume?puoi essere felice;  hai ricevuto 40 Mi Piace al tuo status polemico?100 visite in un giorno per il tuo post tagliente? bene, sii felice.
E non fermarsi alla felicità. Allo stesso modo, con le stesse linee guida poter giudicare rabbia, tristezza, paura, competenza musicale,  soprattutto il diritto alla vita. Tutto sicuro, tutto numerabile e classificabile.
Il tempo di aprire un profilo, di sbirciare un album.
Sette, otto minuti per poter presentare il proprio bagaglio di esperienze e di successi telematici a persone che  possano decidere grazie alla profondità della propria coscienza se meriti o no di vivere questa vita. Poi essere liquidati con un sorriso e un “grazie” nerissimo.
Sette, otto minuti sono un tempo più che sufficiente.
In 480 secondi la tue vacanze al mare da bambino, i tuoi amici, i tuoi link, la tua ex donna, la tua attuale donna,  quello che ti piace, quello che non ti piace, il tuo senso dell’umorismo, i tuoi studi universitari, la tua squadra del cuore, la tua famiglia. Le cose più importanti della tua vita ora assumono senso, solo ora che hanno un voto da 1 a 5, dove 1 rappresenta l’insufficienza e  5 l’eccellenza.
Per alcuni di minuti ne bastano cinque. Per altri addirittura tre. Dovremmo rammaricarcene?
Perché dovremmo imporre la vita a qualcuno di cosi profondamente infelice?o meglio, perché dare all’infelice l’opportunità di contagiare le nostre esistenze con la sua insoddisfazione?
“Voler essere felice”, non più aspirazione lamentosa, ma preciso dovere morale.

Sogno  un mondo dove possa vivere soltanto chi abbia successo sotto forma di profilo, e ci si possa sbarazzare di tutti gli altri.
Cosi, sorridenti, potremo guardarci negli occhi e dirci : “non ci siamo mai sentiti cosi vivi!”.




2 commenti:

Anonimo ha detto...

http://blog.wired.it/misterbit/2012/02/27/insieme-ma-soli-sherry-turkle-e-i-paradossi-della-tecnologia-parte-seconda.html

Bellissimo libro in cui si parla (Anche) di questa tua provocazione.
Se ti va dal 31 al 7 sono a Napoli, potremmo parlare di questo e del destino del parapescio.
Un abbraccio

Bory

Bobobass ha detto...

Quanto sei bello Bory!

Ti penso spesso, veramente però!

Mi piacerebbe vederci mo che torni, anche perchè non ci siamo mai riusciti finora, ma sono a Barcellona e almeno per un anno resterò qui. Penso si debba rimandare a natale a sto punto, a meno che non ti trovi a passare da queste parti :D

Il parapescio non ha futuro.

Con tanto pesce,
Bobo